Dal punto di vista tecnico col riciclo dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche siamo messi molto bene. La tecnologia che abbiamo a disposizione in Italia è avanzata. Non va bene per i quantitativi di rifiuti da trattare. Il problema è nelle basse percentuali di raccolta. Più Raee significa avere a disposizione più materie prime seconde da reimpiegare nella produzione ma siamo ancora indietro rispetto agli obiettivi europei». A tracciare un quadro esaustivo sul fine vita della maggior parte degli oggetti che popolano la nostra vita e le nostre abitazioni, dai frigoriferi ai cellulari, è Fabrizio Longoni, direttore generale del Centro di Coordinamento Raee, il consorzio privato sotto la supervisione ministeriale che raccoglie ed analizza i dati ufficiali relativi a tutta la filiera dei dispositivi elettrici ed elettronici divenuti rifiuti (Raee) nel nostro Paese.

Direttore Longoni, la domanda sul mercato di questo tipo di apparecchiature è crescente, ma cosa accade una volta che vengono dismesse o si rompono?
Oggi in Italia vengono immessi all’anno 22 kg di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Aee) domestiche per abitante. L’obiettivo, una volta divenuti rifiuti, è di raggiungere 14 kg pro capite di Raee raccolti, ovvero il 65% dell’immesso. Ma oggi siamo a circa 6 kg pro capite. Noi cittadini abbiamo due possibilità per gestire correttamente i nostri apparecchi quando diventano rifiuti: la prima è portarli nei centri di raccolta comunali. Sempre che esistano. Non ci sono per tutti i Comuni. La seconda possibilità è che se a fronte di un apparecchio vecchio intendo acquistarne uno nuovo, ho il diritto di richiedere al rivenditore di ritirare il vecchio. Poi c’è una possibilità ulteriore: se intendo dismettere un apparecchio piccolo, il legislatore pone un limite di 25 centimetri come unità di misura di lunghezza massima, posso consegnarlo senza acquistare nulla nei punti vendita di elettronica di consumo con una superficie superiore ai 400 metri quadri. Questa possibilità non è molto conosciuta ma è stata fortemente voluta dal legislatore, perché è per questo tipo di apparecchiature che si verificano dati di ritorno più bassi, cioè vanno spesso disperse.

Qual è la fotografia attuale dello smaltimento di questi rifiuti nel nostro Paese e quali sono le cause ostative per conseguire gli obiettivi europei?
Dividiamo il discorso in due: un primo discorso è quello della raccolta e il secondo è come vengono trattati dopo essere stati raccolti. La raccolta in Italia è lontana dagli obiettivi europei. La comunità europea ci chiede di fare il 65% della media dell’immesso negli ultimi tre anni. Se sono stati immessi 100 chili devo raccoglierne almeno 65. Oggi la percentuale che registriamo è del 30%. Quindi siamo lontani 35 punti percentuali dal nostro obiettivo. Le cause sono due: la prima è che una quota rilevante di questi rifiuti non viene raccolta in forma corretta o dispersa nell’ambiente, il secondo aspetto è che nonostante una quota parte sia raccolta in forma differenziata viene poi inviata ad impianti di trattamento non come Raee ma con un altro nome, tipicamente rottame ferroso.

Come mai?
In questo caso non ho gli obblighi di gestione dei Raee, che sono piuttosto impegnativi, e posso valorizzare subito quello che estraggo da questi apparecchi, cioè metalli e alluminio. La combinazione di queste due cose fa sì che il nostro tasso di raccolta sia molto lontano dagli obiettivi stabiliti dalla comunità europea. L’Italia oggi è carente sulla raccolta tracciata. Per quanto riguardagli impianti di trattamento, il nostro Paese ha una dotazione di impianti non solo qualitativamente molto buoni ma anche in grado di fare con eccellenza il lavoro di separazione di tutti i materiali che sono contenuti all’interno di questi rifiuti. Oggi la comunità europea ci dà dei target che devono essere rispettati, il 70%-80% è il minimo, per dire che un Raee viene correttamente trattato. In alcuni casi gli impianti italiani sono in grado di arrivare anche al 95% di tasso di recupero.

Quanti impianti di smaltimento di Raee esistono in Italia?
Come Centro di Coordinamento vincoliamo i nostri consorziati, che sono espressione di migliaia di produttori riuniti in 14 consorzi, a utilizzare soltanto gli impianti che noi abbiamo accreditato, dei quali possiamo testare il livello qualitativo del trattamento. Questi impianti sono circa una 50ina. Sono vincolati al loro utilizzo tutti i soggetti di emanazione dei produttori. Oggi l’obbligo di gestire il fine vita delle apparecchiature cade sul soggetto che immette sul mercato. È la responsabilità estesa del produttore. Il produttore che immette un apparecchio in Italia ha teoricamente due possibilità di assolvere ai propri obblighi: una individuale, che vuol dire che andrà a recuperarsi solo i propri rifiuti, e una in forma collettiva. Benché la comunità europea abbia pensato a due forme, quella che funziona è quella collettiva.

C’è anche un vuoto normativo?
L’Italia ha adottato un sistema definito “all actors”, quindi una volta che un Raee viene raccolto chiunque lo può gestire purché lo faccia correttamente. Oggi dei Raee domestici che vengono gestiti come tali, oltre il 97% transita attraverso il Centro di Coordinamento. Il vero problema è che alcuni Comuni e una parte della distribuzione in realtà non li gestisce ma preferisce alimentare dei canali paralleli. Non c’è un obbligo normativo a consegnare i Raee ai produttori di apparecchiature elettroniche. Mancano controlli reali e concreti e in un regime di libertà assoluta e incontrollata si favoriscono traffici non corretti. Normativamente si può migliorare, abbiamo riscontrato negli anni delle pecche. L’Unione europea ha riconosciuto il ruolo fondamentale del Centro di Coordinamento, l’Italia non è invece ancora riuscita a trarre giovamento da questo organo.

Se smaltiti correttamente i Raee, è possibile utilizzarli nuovamente per nuove produzioni e, se sì, come cambierebbe il mercato e l’approvvigionamento delle terre rare?
All’interno dei Raee c’è il più alto contenuto di elementi di una tavola periodica che si ha in un oggetto. Anche 65 elementi della tavola periodica, alcuni più facili altri meno facili da estrarre. È facile costruire un computer, è difficile ritornare ai materiali con cui è stato costruito. Servono impianti di trattamento tecnologicamente molto avanzati. Mentre sono facili da estrarre ferro, alluminio, rame, altri metalli, plastica, vetro, ci sono dei materiali all’interno delle apparecchiature, che sono contenute in un peso molto contenuto e che è difficile estrarre. Nonostante ciò, oggi si recupera fino al 95% dei Raee, quindi effettivamente si riesce a recuperare tanto fino ad arrivare alle terre rare che è possibile immettere nuovamente nel ciclo produttivo.