Durante la View Conference che si è svolta la scorsa settimana a Torino si è parlato anche di videogiochi, in particolare dello stato dei videogiochi in Italia attraverso prospettive differenti e complementari. I partecipanti del panel, infatti, erano Jan-Bar van Beek, direttore di Guerrilla Games, lo studio di Horizon: Zero Dawn e di altri titoli per PlayStation, Mauro Fanelli, fondatore e CEO di Memorable Games, che sta lavorando al titolo On Your Tail, David Mancini di IIDEA, l’associazione di categoria di chi sviluppa videogiochi e Tiziano Giardini di Quickload Gaming Accelerator.

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Il panorama che ne è emerso è decisamente sfaccettato perché come già detto più volte l’Italia si trova in una situazione differente rispetto ad alcuni mercati che in questo periodo stanno vivendo una profonda flessione.

“Quello che spesso ci dimentichiamo è che nel periodo della pandemia il settore ha creato moltissimi posti di lavoro e quello che sta succedendo in questi mesi, per quanto brutto, è una correzione – spiega Van Beek – e contemporaneamente abbiamo anche vissuto una sovrapproduzione di videogiochi, solo l’anno scorso ne sono stati pubblicati su Steam circa 17.000”.

Questo vuol dire che non solo che c’è un surplus di videogiochi rispetto al pubblico potenziale e il tempo che questo pubblico può avere, ma che quegli stessi giocatori tendono poi a gravitare per la maggior parte del tempo attorno a determinati titoli che occupano tutto il loro tempo. Parliamo di Fortnite, Call of Duty, EA Sport FC e altri giochi mobile e non che più che essere videogiochi sono veri e propri hobby che non lasciano spazio ad altro.

“E i rischi oggi sono aumentati, il margine d’errore è aumentato mentre i margini si sono ridotti – continua Van Beek – certo l’industria è ancora molto redditizia e i soldi che girano sono tanti e senza dubbio è ancora il settore economicamente dominante, ma il pubblico è cambiato”.

Se guardiamo infatti alla Generazione X, la prima a incontrare i videogiochi in giovane età, vediamo un pubblico abituato a consumare un certo tipo di videogiochi in un certo tipo di modo. E per quanto siano persone che giocano lo faranno sempre meno. La generazione di chi è cresciuto con Minecraft, Roblox o altri titoli più recenti ha abitudini di consumo completamente differenti. “Sono persone abituate a titoli persistenti, meccaniche crafting, a giochi gratuiti, alle microtransazioni, a titoli in cui la storia conta meno e c’è una grande personalizzazione dell’esperienza”.

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Ma in questo panorama di cambiamenti come si pone l’Italia?

“L’Italia ha senza dubbio avuto un diverso approccio economico e culturale ai videogiochi, ci sono state alcune aziende che nel tempo si sono costruite uno spazio, soprattutto nei videogiochi di corsa, ma è mancata una visione globale imprenditoriale e sicuramente sono mancati supporti legislativi. È mancato quel momento in cui qualcosa ha molto successo e piano piano crea altre realtà di successo grazie alle persone che dopo ne escono e iniziano a creare loro aziende”.

Ma negli ultimi anni il panorama è senza dubbio cresciuto, anche perché, come più volte mostrato anche nei precedenti report, la situazione nel nostro Paese era così poco sviluppata che era impossibile risentire di una crisi mondiale, che comunque c’è. Secondo gli ultimi rapporti di IIDEA i numeri sono in crescita e quelli che una volta erano piccoli esperimenti amatoriali sono diventati studi a tutti gli effetti. “Se le aziende erano 48 nel 2012 – spiega Mancini – oggi sono 160 con un numero di impiegati che passa da 400 a 2400. Il settore sta diventando qualcosa di importante per l’Italia, e ovviamente le forme di sostegno hanno il loro peso. Al momento abbiamo tre generazioni di sviluppatori in Italia, quelli che iniziano da poco, quelli con qualche anno di esperienza alle spalle e quelli che hanno iniziato più di una decina di anni fa e possono offrire un bagaglio di esperienza di grande valore”.

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E di esperienza è senza dubbio ricco Mauro Fanelli che con Memorable Games ha trovato spazio da tempo a Torino, in una di quelle zone in cui si sta creando una sorta di distretto, un agglomerato di aziende che sviluppano videogiochi.“Per crescere è fondamentale avere delle connessioni e dei contatti, così da scambiarsi idee, soluzioni, aiutarsi. Noi abbiamo un’esperienza che arriva dai primi anni di PlayStation, abbiamo visto cosa funziona e cosa non funziona – spiega Fanelli – è che è fondamentale un approccio molto concreto, orientato al lavoro. Certo, i videogiochi sono una passione, ma se vuoi che diventino il tuo lavoro l’approccio non può essere di fare solo ciò che vorresti fare, ma ciò che sul mercato potrebbe funzionare. Ci piace spesso dire che i videogiochi indipendenti hanno successo ma la verità è che una piccola parte a successo mentre gli altri spariscono in poco tempo”.

Ma come si fa crescere un settore, come quello italiano, in cui non mancano le competenze, ma molte altre cose?

“L’Italia per tradizione non ama molto il lato imprenditoriale delle cose, lo ritiene quello più noioso rispetto alla parte creativa – spiega Tiziano Giardini – e il nostro obiettivo con Quickload è proprio supportare gli sviluppatori nella parte più complessa, il pensare il videogioco come prodotto che va venduto in un mercato globale. Il nostro obiettivo è dare le possibilità migliori ai migliori team italiani. In Italia i fondi pubblici hanno iniziato da poco e quelli privati sono quasi del tutto inesistenti, quindi gli studi italiani devo proporre i loro giochi agli eventi esteri in un settore ultracompetitivo.”

Ovviamente non tutti possono accedere a un programma di accelerazione come quello di Quickload ma “di solito cerchiamo aziende che non hanno appena iniziato, persone che hanno lavorato assieme un po’, che hanno fatto uscire almeno un gioco. Il nostro obiettivo è supportare non tanto il singolo gioco ma le persone che lo fanno, persone che vogliono arrivare a un livello successivo”.

“Credo sia fondamentale che le persone capiscano subito che è essenziale lavorare se non in una azienda, almeno in uno spazio che abbia una mentalità aziendale – conclude van Beek – perché una grande azienda ti permette di incamerare velocemente un sacco di nozioni di marketing, di metodologie di lavoro e di soluzioni che poi puoi utilizzare quando decidi di provarci da solo”.

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