di
Fabio Paravisi
Omicidio di Sara Centelleghe: le grida disperate della ragazza che ha trovato l’amica uccisa e il tentativo di soccorsi di un vicino. Le tracce di sangue dell’omicida e la fuga nei garage in comune
La mattina dopo il delitto erano ancora lì, nitide e quasi stampate sul marmo delle scale. Impronte di sangue e di morte, lasciate da Jashan Deep Bashan, il diciannovenne che ha confessato di avere assassinato Sara Centelleghe all’una della notte tra venerdì e ieri nella sua casa di via Nazionale a Costa Volpino.
È l’1.15 quando grida disperate risuonano al terzo piano del condominio al numero 126. «Sono tornata tardi e uscendo dall’ascensore ho visto che sotto quella porta filtrava ancora della luce — racconta una donna che vive al secondo piano —. Ho sentito una voce femminile che faceva “Yu-huu”, come se cercasse qualcuno. Poi una pausa e delle grida. Ho pensato che stessero violentando qualcuno e ho chiamato mio marito».
Andrea Gollinucci accorre subito: «Sono entrato, all’ingresso non c’era niente, sono andato avanti e nel corridoio della zona notte ho trovato una ragazza a terra, con una maglietta scura coperta di sangue e una seconda ragazza che gridava, con solo poche macchie di sangue sulle mani». È l’amica, che si chiama a sua volta Sara, che trascorreva la serata con la vittima, mentre la madre dell’amica era fuori, e ha già chiamato il 118. L’operatore suggerisce una manovra rianimativa in attesa dell’ambulanza.
La vittima
Sara Centelleghe avrebbe compiuto 19 anni il 9 novembre
Intanto l’assassino scappa di corsa giù per le scale, lasciando impronte dei piedi nudi che si sono sporcati del sangue della vittima. Era salito in ciabatte, che ha perso durante l’aggressione nella quale è rimasto a sua volta ferito perdendo le forbici che aveva trovato sul posto e che ha usato per sferrare numerosi colpi all’addome di Sara. Mentre lui scappa, al terzo piano si tenta una manovra disperata: «L’operatore del 118 — continua il vicino — mi spiegava come praticare il massaggio cardiaco e io ho eseguito, ma non c’era battito e non c’era respiro, alla fine ho dovuto rinunciare».
Il 118 rilancia l’allarme ai carabinieri, dalla Compagnia di Clusone mandano delle pattuglie insieme al comandante Maurizio Guadalupi.
L’omicida fugge e lascia le sue impronte dietro di sé. Appena davanti alla porta le tracce sono confuse e soprapposte, come se il giovane sembrasse indeciso sul da farsi. Poi punta verso le scale. Ci sono quattro nitide tracce di piedi sul pianerottolo, e poi sui gradini. Nella prima rampa e fino al pianerottolo tra il terzo e il secondo piano, ogni gradino ha anche cinque o sei grosse gocce rotonde che sembrano cadute da una ferita. A quel punto il giovane deve essersene accorto e la tampona, perché da lì in poi si vedono solo le impronte dei piedi. Sono quelle di qualcuno che fugge a precipizio, su alcuni gradini non ci sono, segno che nella fuga sono stati saltati. Di piano in piano, le tracce sono sempre meno nitide, e in mattinata nelle rampe più in basso bisogna sforzarsi per individuarle, anche perché nessuno ha lavato le scale e c’è molto andirivieni, anche se si cerca di non pestarle.
Ma agli investigatori appena arrivati appaiono alcune macchie ancora nitide che proseguono il percorso della fuga. E scendono ancora di un piano, dove basta spingere un maniglione antipanico per arrivare nei garage sotterranei. Se uno sa come muoversi trova subito gli interruttori a tempo per la luce e poi la porta che conduce ad altri garage. Sono quelli di una seconda scala dello stesso complesso, ma affacciata sulla perpendicolare via Wortley. Pochi minuti prima l’amica della vittima aveva deciso di scendere ad acquistare una bibita al distributore della «casetta dell’acqua» che si trova nel parcheggio sul retro. Sono solo 130 passi per arrivarci, chissà se Jashan Deep Bashan l’ha vista passare, e sapeva che Sara Centelleghe, sua amica, era rimasta sola, decidendo di raggiungerla. Anche se nella serata di ieri il giovane ha confessato il delitto, non è ancora chiaro quale sia il movente: si parla di una richiesta che la ragazza non avrebbe voluto soddisfare.
L’arrestato
Jashan Deep Bashan, 19 anni, viveva nello stesso complesso della ragazza uccis
Il fuggiasco arriva ai garage (un box è stato ispezionato dai carabinieri e sigillato, forse vi è stato lasciato qualcosa che poteva ricondurre il giovane al delitto), poi con la chiave apre la porta sul retro e torna all’appartamento al terzo piano dove vive con il padre operaio, la madre donna della pulizie per il Comune e i due fratelli minori. «Vivono in paese da tanto, li conosciamo e sono grandi lavoratori», dicono alcuni vicini. «Il ragazzo è gentile — racconta un altro —. Mi ha anche aiutato a portare su la spesa ed è molto rispettoso, tiene sempre lo sguardo basso». Quando era ancora minorenne aveva avuto piccoli precedenti di polizia per droga e ha cambiato diversi lavori, da elettricista a magazziniere, ma poi non ha più avuto problemi. Raggiunge camera sua e si mette a letto.
I carabinieri seguono il percorso delle tracce e vengono a sapere che un amico della vittima vive nella scala vicina. Alle 8.45 suonano al suo campanello: «Non ci hanno detto niente, lo hanno portato via, siamo angosciati», racconta un fratello nel pomeriggio, subito dopo che i carabinieri sono tornati portandosi via cinque borse di indumenti e lenzuola. In mattinata il giovane viene interrogato dal sostituto procuratore di turno Giampiero Golluccio per informazioni, nel pomeriggio fa parziali ammissioni e verso sera scatta l’arresto per omicidio volontario. La sera confessa. Il suo avvocato lo definisce «molto provato». Alle 22 viene portato in carcere. Il corpo di Sara è nella camera mortuaria del Papa Giovanni in attesa dell’autopsia.