“Difende il modello Albania, che “non sarà smontato” né da sentenze “irragionevoli” né dalla “sinistra”. Si dice “a posto con la coscienza”, piuttosto “aggressiva”, perché in due anni al governo non poteva “lavorare di più”.

Difende la manovra, attaccata da “quelli dei banchi a rotelle e del Superbonus”. E difende ancora, anche se un po’ più tiepida, pure il capo di gabinetto di Alessandro Giuli, Francesco Spano, vittima dei “due pesi e due misure” che si applicano “a chi lavora con la destra”.

Perché bisognerebbe chiedere conto, semmai, a Giovanna Melandri e alla sua gestione del Maxxi. Giorgia Meloni premette di voler fare presto, intervistata a tutto campo alla festa de “Il Tempo”dal direttore Tommaso Cerno, “perché La Russa ha la partita” dell’Inter di Champions League ma poi per una buona mezz’ora parla del governo, soprattutto delle politiche sui migranti, che rischiano di essere bloccate dalla sentenza “irragionevole” del tribunale di Roma che usa in modo “strumentale” l’Albania. Che andrà avanti perché “non consentirò che una soluzione che abbiamo individuato nel pieno rispetto del diritto italiano ed europeo venga smontata perché c’è una parte della politica che non è d’accordo”. 

 

Lo stop ai trattenimenti, sottolinea la premier, era iniziata ben prima: “è da Cutro che cerchiamo soluzioni” alla questione migratoria. Un impegno “preso con gli italiani” che hanno votato ma quando con le elezioni si vira a destra “bisogna correggere le scelte del popolo”.

Il decreto Migranti

 

Con un certo “menefreghismo rispetto al voto popolare”. Altro che “complotti”, dice Meloni. “Io non ho mai parlato di complotto”. Ma certo, è la convinzione della premier, ci sono quei “due pesi e due misure” che fanno muovere certi mondi, un concetto espresso più volte da inizio legislatura. Il magistrato Marco Patarnello, sottolinea ricordando di avere pure lei stessa pubblicato una parte della sua mail, “dice che non agisco per interesse personale ma per volontà politica. Una politica forte, che non ha scheletri nell’armadio, non ha una seconda agenda, non condizionabile è un problema per molti, per tutti coloro che sulla debolezza della politica hanno costruito imperi”.

Meloni si accalora, quando torna a bollare come “non normale” la richiesta dei socialisti europei, guidati dal Pd, di una procedura di infrazione per l’Italia proprio per l’intesa con l’Albania. Chiedono – ribadisce – di punire gli italiani per non aver votato come volevano loro”. Ma l’intesa, nonostante gli “ostacoli” che in ogni caso erano attesi, “funzionerà”, promette la premier, che rivendica anche la “tenuta dei conti” con la legge di Bilancio, appena trasmessa alla Camera.

Non ci sono “aumenti di tasse”, ci sono fondi record per la sanità e se gli aumenti delle pensioni minime sono risicati la colpa è dell’eredità del Superbonus “altri 38 miliardi nel 2025”. Altrimenti ai pensionati al minimo si poteva dare “20mila euro in più”. “Scaramantica” sulla Liguria anche se “ottimista” – ogni elezione “è un test nazionale”- precisa. La premier viene però incalzata sul caso del giorno, le dimissioni del capo di gabinetto del ministro della Cultura. Una vicenda, dice, che non ha seguito nel dettaglio. Ma “leggo sulle agenzie che ci sarebbe un conflitto di interesse tra il capo di gabinetto e un’altra persona che risale al Maxxi, al tempo di Giovanna Melandri”, affonda Meloni, specificando di non averne parlato con Alessandro Giuli né prima della nomina né dopo il passo indietro di Spano. Certo, ammette, le erano arrivate le lamentele anche da parte del suo stesso partito sulla nomina di Spano, lamentele rinviate al ministro stesso. E’ lui, il ragionamento della premier, che “fa le nomine e si deve assumere le responsabilità di quel che fa”.

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